IL BANDITISMO
Era uno strano genere di banditismo quello che imperversò in Maremma nel secolo scorso. Domenico Tiburzi, il mitico famoso brigante di cui a Capalbio si vede la fotografia dappertutto, morto ammazzato e legato ai capi di una colonna del cimitero, ma dritto in piedi tanto che sembra vivo, era spesso il braccio armato degli agrari e anche dei proprietari terrieri che certe cose, non potendole fare da sé per restare in regola con la legge, le facevano fare a lui. La sua vicenda si situa in un periodo storico che precede, ingloba e segue l’Unità d’Italia, in quella zona dove il Granducato di Toscana e il Papato di Roma si confrontavano tra una specie di buongoverno e un deciso malgoverno. Nell’introduzione a un libro su Tiburzi, divenuto protagonista di un film realizzato dal pisano Paolo Benvenuti nel 1996, si legge: "La Maremma è la terra maledetta e feudale dove "l’uccello che ci va perde la penna" e "il giovin che ci va perde la dama". E’ una terra vasta e di acuti contrasti tra la pianura e i monti, dove i banditi come Tiburzi si sono mossi per decine di anni: il loro regno erano le macchie, le forre, le grotte, le rocche e i casolari. Ma è proprio l’incontro della storia con la realtà aspra della natura maremmana a produrre il mito del "brigante", un brigante speciale, che ha anche un innato senso della giustizia. Somiglia un po’ a quell’altro bandito vissuto in Romagna: il Passator Cortese, che "levava ai ricchi per dare ai poveri". C’è una poesia-canzone, un racconto da cantastorie, nel film di Benvenuti, ed è una donna tutta in nero che la canta, impersonando da sola il coro delle antiche tragedie greche, in cui il Destino racconta e commenta la vicenda dei personaggi umani, sempre sventurati.
Vi canterò di un nobile brigante
che questa terra un giorno dominò, fu nominato Re della Maremma e per trent’anni il regno suo durò. Fece tremare il cuore dei signori E a chi mancava il pane lo portò Domenico Tiburzi era il suo nome E nelle notti tristi e senza luna Col suo fucile stretto sopra il cuore Sfidava la tempesta e la fortuna. La cantata è lunga, perciò scegliamo le strofette finali con la sua morte e l’incredibile storia della sua strana sepoltura nel cimitero di Capalbio:
Si dice che una sera alle Forane
Mentre felice con gli amici sta …scatta l’agguato e non si salverà. Così nel camposanto fu portato …Per metà nel terreno consacrato per metà nell’eterna perdizione.. |